700 ore sottoterra

Spedizione scientifica del 1961


Un'eccezionale "spedizione/esperimento"

La spedizione "700 ore sottoterra" è stato un importante esperimento scientifico organizzato dal CAI UGET Torino svoltosi nelle grotte del Caudano presso Frabosa Sottana nell'estate del 1961; è durato in tutto 756 ore, con l'ingresso in grotta la sera del 6 agosto a mezzanotte e l'uscita il 7 settembre a mezzogiorno.
L'operazione fu ideata dal professore Prospero Masoero e dalla professoressa Anna Maria Di Giorgio dell'Istituto di Zootecnica dell'università di Torino con lo scopo di condurre uno studio completo di carattere bio-ambientale del mondo sotterraneo. Erano tre gli indirizzi scientifici della spedizione: uno di studi chimico-fisici sulle caratteristiche dell'ambiente; uno di ricerche particolari sulla biologia dell'uomo nell'ambiente ipogeo e sulle modificazioni apportate all'habitat sugli organi e apparati degli esseri viventi; uno che comprendeva ricerche cliniche, psicologiche e neuroendocrine su animali e uomini.
L'eccezionale impresa è stata compiuta da dodici giovani studiosi: il professor Silvano Maletto, capo della spedizione; il dr. Franco Valfrè, segretario; il dr. Renzo Gozzi e il dr. Cesare Volante, medici; il dr. Paolo Durio e il dr. Pierangelo Raviola, farmacisti; il dr. Ettore Ferrio, veterinario; il dr. Giancarlo Masini, chimico; il dr. Alessandro Gallice e il dr. Franco Merletto, agronomi; il dr. Cesare Patrucco e l'ing. Giovanni Massera nel campo esterno.
Il dr. Giancarlo Masini ha dovuto abbandonare la grotta dopo appena 7 giorni per un banale incidente.

L'organizzazione.

Per l'operazione fu scelta la grotta del Caudano grazie al suo andamento pressoché orizzontale, per la comodità di accesso e per la possibilità di attrezzarla facilmente. La lunga caverna era stata suddivisa in varie parti, ciascuna delle quali corrispondeva ad un determinato scopo. Appena qualche decina di metri dentro la montagna una spia di segnalazione veniva accesa per indicare agli speleologi la corvée esterna che depositava viveri e materiali.
Ad un centinaio di metri dall'ingresso era stato sistemato lo stabulario (piccola stalla), che risultava essere il punto di maggiore circolazione d'aria; qualche metro più avanti erano stati preparati i servizi igienici, concepiti in modo da evitare la benché minima contaminazione dell'ambiente naturale. A metà del ramo principale era posta la cucina-soggiorno con relativi confort (compresa una stufata a gas), a cui facevano seguito l'infermeria e il laboratorio scientifico posto in quella che oggi viene chiamata fallerai delle Rovine. Infine al fondo della caverna erano sistemate le cinque tende per il riposo notturno.
Fra strumenti scientifici e attrezzature varie avevano portato con loro circa 17 tonnellate di materiali, per un valore complessivo di oltre mezzo miliardo di lire. Ciò era stato possibile per l'aiuto fornito dal Comando degli Alpini, due dei quali rimasero poi a disposizione del campo esterno, per tutta la durata dell'esperimento.

La vita in grotta, fra analisi e ricerche.

La vita dentro la caverna era regolata da un rigido orario stabilito in base alle esperienze che si dovevano svolgere. La sveglia era fissata per le sette con l'inizio delle ricerche, ognuno nel proprio campo, non prima però di essersi sottoposti al prelievo di sangue, alle prove ortoclinostatiche e all'esame della diuresi. Queste accurate analisi venivano effettuate per stabilire le reazioni dell'uomo alle condizioni ambientali sotterranee; infatti nel sottosuolo molte variabili restano costanti come l'umidità e la temperatura, alle quali si devono aggiungere la mancanza assoluta di qualunque radiazione luminosa o termica e la singolare purezza dell'aria.
Le ricerche e le indagini della spedizione erano basate sui principali quesiti che riguardano la vita dell'uomo: variazioni del peso e della frequenza del polso, del ricambio idrico, della composizione del sangue, del consumo degli alimenti, delle reazioni psicologiche e della visione cromatica. Dagli esami svolti si è notato che nell'uomo ci fu un aumento numerico negli eritrociti, nei leucociti e nel contenuto delle gammaglobuline ematiche. Fu anche riscontrata una variazione nella sensibilità cromatica nell'occhio.

Lo studio dell'ambiente e strani fenomeni...

Per quanto riguarda lo studio dell'ambiente ipogeo si sono condotte ricerche sulla composizione dell'aria, della roccia e dell'acqua dei torrenti sotterranei. Inoltre si svolsero analisi sulla presenza di radioattività, di correnti elettriche telluriche e sulla penetrazione delle onde elettromagnetiche di grande lunghezza.
Passati alcuni giorni dall'inizio dell'esperimento si rese evidente un fatto singolare: al buio assoluto gli speleologi vedevano il viso di chi gli stava di fronte; ancora oggi non è possibile chiarire le cause di questo strano fenomeno. Un altro fatto particolare fu la difficoltà nella valutazione del tempo: se la loro vita in grotta non fosse stata organizzata secondo un orario e se non avessero di continuo guardato gli orologi, non sarebbero stati in grado di valutare il trascorrere delle ore.
All'ingresso in grotta alcuni membri della spedizione avevano il raffreddore, ma guarirono in pochi giorni grazie all'assenza di batteri e alla presenza nell'aria di miceti del tipo penicillus. In ciascuno dei membri fu riscontrata una singolare angoscia al momento di terminare l'impresa, forse per il distacco da una condizione di vita alla quale evidentemente si erano profondamente adattati.
Il rapporto completo e dettagliato sulla spedizione era stato richiesto dalla National Academy of Sciences di Washington per le ricerche nel campo spaziale. Si era scelto di rimanere un mese in grotta perché è il periodo di tempo in cui una zona colpita dalle radiazioni atomiche si disinfetta naturalmente. Risultò chiaro che una comunità umana può adattarsi ad una vita sotterranea a patto che ciascuno di membri abbia un incarico di lavoro che lo renda conscio della sua utilità per tutti gli altri.

Le ricerche su vitelli, pecore e polli.

Per le ricerche biologiche e zootecniche, erano stati portati in grotta anche numerosi animali: due vitelli, quattro pecore, 26 galline e 49 pulcini. Altrettanti animali erano tenuti all'esterno come "controllo", parte a Frabosa (vitelli e pecore) e parte a Torino (polli).
Per le pecore e i vitelli si sono scelte coppie di gemelli monocoriali, derivati cioè dalla stessa cellula "uovo" fecondata, e quindi perfettamente identici tra di loro. Per ogni coppia un gemello è stato portato dentro e uno è rimasto nel campo base esterno. Vitelli e pecore si adattarono bene alla vita sotterranea, ma dopo un mese di permanenza nelle grotte presentarono una maggior calcificazione delle ossa e pelo più scuro oltre all'aumento dei globuli rossi, dei globuli bianchi e della gamma- globuline del sangue, quasi il doppio del normale. Terminato l'esperimento furono riportati in superficie dove rifiutarono l'erba che non riuscivano più a vedere con il suo normale colore verde.
Per quanto riguarda le galline si è riscontrato un aumento nella deposizione delle uova; per certi soggetti anche tre al giorno. Le stesse uova avevano un peso leggermente superiore alla media esterna. Altro dato positivo è la mancanza del fenomeno di cannibalismo frequente nei polli allevati in batteria (fatto che si è verificato nei soggetti lasciati in superficie). Come nel caso di vitelli e pecore, anche nei polli si è verificata una maggior calcificazione delle ossa. I pulcini hanno avuto una crescita normale con una mortalità piuttosto elevata del 28%; superata questa fase iniziale di selezione naturale, hanno dimostrato buone capacità di adattamento.

La dieta e... la posta.

Il magazzino viveri era sempre ben fornito di cibo e bevande, in modo da rendere meno penosa la permanenza nelle grotte fredde e umide. La quota calorica media è stata superiore rispetto a quella normale in superficie con un fabbisogno necessario di 6000 calorie giornaliere; questo a causa della grande dispersione termica e per l'elevato dispendio di energie. Cinque membri della spedizione decisero di alimentarsi con razioni militari "K", ma questa dieta fu ben presto abbandonata per il verificarsi di manifestazioni emorroidali.
In base ai dati raccolti si è potuto affermare che quando la permanenza nel sottosuolo è protratta nel tempo devono essere ridotti gli zuccheri o glucidi e aumentati i grassi o lipidi che hanno le stesse proprietà energetiche ed il vantaggio di non provocare inconvenienti spiacevoli.
La posta poteva essere soltanto spedita (e non ricevuta) mettendola in un sacchetto di plastica che veniva lasciato su una pietra nella stanza degli animali; gli uomini del campo esterno provvedevano poi, in assenza degli speleologi, a prelevarla e spedirla.

Le testimonianze


Dal diario di uno dei membri della spedizione.

"Sono le 23 quando ci avviamo dal campo appoggio esterno verso l'imbocco. Ci accompagnano i nostri amici che restano fuori; ci seguono silenziosi mentre risaliamo cantando vecchie canzoni di montagna. Lo spettacolo è suggestivo e commovente. Stiamo per entrare sottoterra e per oltre trenta giorni non rivedremo la luce del sole, il verde dei castagni e dei prati, non sentiremo più il caldo di agosto, ma vivremo nel buio più assoluto, rotto dalle deboli lui delle nostre lampade.
All'imbocco ci salutiamo in silenzio; le strette di mano sono più di un discorso in questi momenti e ci si commuove. Un ultimo sguardo ed entriamo. Cigolando il cancello della grotta si è chiuso alle nostre spalle; è la mezzanotte di domenica 6 agosto 1961, inizia l'esperimento delle "700 ore sottoterra". Una corrente gelida giunge dalla profondità della caverna; un silenzio assoluto ci accompagna, rotto solo dal suono dei nostri passi nel fango e sulle rocce. La fila dei dieci si snoda silenziosa sotto il carico degli zaini. Ognuno con i suoi pensieri: la famiglia, i parenti, i figli, l'eco degli addii, la luce del sale e il caldo dell'estate.
Avrò fatto bene a scendere nelle viscere della terra? È buono ciò che facciamo? Questi miei pensieri sono di tutti; li vedo scritti sui loro volti madidi di sudore, nei loro occhi stanchi per i giorni trascorsi a completare l'organizzazione di questa spedizione così complessa. Raggiunte le tende si va a letto nei sacchi a pelo. Fa freddo, siamo due per tenda. Le ultime candele si spengono, poi solo il silenzio rotto dai sospiri di chi dorme e dal suono delle corde che ancorano le tende alle rocce e che vibrano ad ogni movimento."

Racconto dell'uscita del capo-spedizione Silvano Maletto e dei suoi compagni. Servizio a cura di Ricciotti Lazzero. Tratto dal settimanale "Epoca" (17 settembre 1961).

"Spuntò dal buio lentamente, quasi faticando; la lampada a pila era spenta, la tuta aveva macchie di fango duro come una crosta. Si fermò in silenzio, e in silenzio tutti lo guardarono. Poi girò la chiave nella toppa del cancello, che non voleva aprirsi. Lo scrollò varie volte, gli diede una spallata e uscì fuori. Una barba folta gli incorniciava il viso smunto, la pelle aveva un pallore impressionante. Gli occhi sembravano spenti, sperduti all'interno di una conca senza confini; la pupilla era circondata da un mare di piccole vene rosse. non distingueva ancora i visi, le immagini erano sfocate. Pianse per una ventina di secondi, poi rialzò il viso e si guardò attorno: vide gli alberi, le montagne, la gente e sorrise mentre le lacrime spuntavano senza freno".
"Gli altri membri della spedizione lo seguirono distanziati di qualche minuto per dar tempo ai medici e agli scienziati di eseguire i loro controlli. Il professor Ludovico Giulio li attendeva con in mano il libro del giapponese Shinobu Ishihara. Quel volume non conteneva scritte, ma puntini colorati bizzarramente dove si nascondeva un numero. Distinguerlo in pochi secondi non era facile; era il primo test cui i membri della spedizione dovevano sottoporsi a mano a mano che ritornavano alla luce del sole. Da una temperatura media di nove gradi erano piombati a circa trenta. All'uscita della caverna gli speleologi provarono sensazioni nuove e misteriose: i colori tenui (rosa, azzurro e verde chiaro) non erano ben distinti ai loro occhi. Anche la sensibilità e l'acutezza dell'olfatto subirono notevoli influssi consentendo di percepire odori fino ad allora mai sentiti".

La testimonianza del capo-spedizione Silvano Maletto in merito alla nube tossica di ossido di carbonio che ha rischiato di far finire in tragedia la spedizione.

"Dopo qualche giorno di permanenza in grotta mi accorsi che nell'aria, ad un ciclo fisso di sei giorni, compariva l'ossido di carbonio. Durava alcune ore, poi spariva. Quando arriva a valori tra il 2 e 4 per mille, se un uomo lo respira muore nello spazio di mezz'ora. Avevo uno strumento, l'apparecchio di Auer, per registrarlo; è una pistola in cui si infilano alcune fiale con speciali reagenti; sparando l'aria entra nelle fiale e l'ossido di carbonio si rivela con il suo colore scuro. Basta confrontare la sua altezza con una scala graduata e si ha immediatamente la misura del veleno infiltratosi nell'atmosfera. Questo è un gas che assale l'uomo senza che questi se ne accorga.
Non avvertii nessuno della mia scoperta, ma aumentai la sorveglianza. Erano oltre 720 ore che ci trovavamo in grotta quando, verso le otto di sera, Paolo Durio venne giù dal laboratorio e mi disse che aveva notato qualcosa di strano. Con lui e con il medico Cesare Volante salii fin dove si trovava l'apparecchio di Auer e misurai la tossicità: era dell'1,5 per mille. Si respirava male, qualcuno si lamentava. Decidemmo di non dire niente agli altri e mandammo tutti a letto. Alle undici la percentuale di ossido di carbonio nell'aria era dell'1,8 per mille; a mezzanotte dell'1,9. Ci guardammo in faccia alla luce di un piccola lampada e ci ponemmo alcune domande rapidissime. Eravamo angosciati, ma aspettavamo ancora.
All'una il livello di tossicità raggiunse l'1,95 per mille. Ci eravamo installati nella cucina: Durio andava a turno a controllare la dose di veleno nell'aria, poi il dottor Volante misurava ad entrambi il polso e controllava le reazioni. Il mio battito cardiaco era salito a 140, respiravo con difficoltà. Poteva succedere una tragedia; andai al laboratorio e misurai ancora una volta l'ossido di carbonio: 2,6 per mille. Non era possibile mi dissi, forse mi ero sbagliato. Ripetei la prova un'altra volta: proprio 2,6 per mille! Avvisai gli amici Paolo e Cesare e partii di corsa con la pistola di Auer verso la zona dell'accampamento notturno: quando con la pila gettai un fascio di luce sulle tende vidi che i miei compagni dormivano.
Uno russava, e ciò mi ridiede speranza. Erano le due e un quarto di notte; sparai con l'apparecchio e lessi sulla lista graduata: 2 per mille. Non svegliai nessuno e tornai indietro verso la cucina dove trovai i miei due compagni pallidissimi; provarono ad alzarsi in piedi, ma traballarono e caddero a terra nel fango. Li aveva colti un capogiro e il tono cardiaco si era abbassato. Afferrai un autorespiratore con le bombole di ossigeno e mi diressi nuovamente verso il campo-base, assieme a Ciccio e Paolo. Quando giungemmo sul posto era tutto una bolgia, con le tende sparse qua e là tra la roccia e il fango con gli uomini che ansimavano. È finita, mi ripetei ancora, è finita! Gridai: "Andiamo via subito! Andiamo, andiamo!".
Ognuno afferrò qualcosa che potesse servire: coperte, scatole, bottiglie. C'era qualcuno sul punto di piangere: stava per morire qualcosa che avevamo preparato per anni, proprio nel momento in cui mancavano poche ore alla fine della spedizione. Gli uomini si misero in marcia verso il laboratorio, me li vidi passare davanti ad uno a uno, tutti quanti. Misurai l'ossido di carbonio: 4,6 per mille, una dose aldilà dei limiti umani! I due medici dissero che era meglio andare allo stabulario dove c'erano gli animali, il punto di maggiore circolazione d'aria nella grotta. Eravamo in condizioni fisiche disperate, la nostra era una fuga di moribondi tra il fango e lo scarso chiarore delle lampade a pila. Ci lasciavamo scivolare giù tra i massi ansimando, le gambe tremavano, le idee più strane turbinavano nel cervello.
Arrivammo allo stabulario e ci fermammo a guardarci l'un l'altro: c'eravamo tutti. Misurai l'ossido di carbonio e vidi che si era abbassato: 0,5 per mille. Ordinai di accamparci in quel punto della grotta e iniziare le operazioni di controllo del cuore e della pressione. Ciascuno di noi ha eseguito anche la prova della diuresi, per misurare la quantità di tossico nell'urina. il mio polso era di 168. Qualcuno cadde a terra senza forze e s'addormentò subito. Gli altri si sedettero dev'era possibile. Era triste vedere gli uomini nel fango, tra gli animali. Restò di turno il medico Renzo Gozzi, io mi misi a sonnecchiare sfinito dall'emozione.
Alle 6 di quella terribile notte decidemmo di ritornare al fondo della caverna per misurare l'ossido di carbonio; ci dividemmo in gruppi di tre, distanziati di cinque minuti l'uno dall'altro. Presi da una gabbia un pulcino e lo tenni in mano davanti a me: questi piccoli animali avvertono prima degli uomini la presenza del veleno perché hanno un battito cardiaco molto elevato. Arrivammo alla cucina e vedemmo che un fornelletto elettrico era ancora acceso. Sentimmo un rumore in una cassetta di legno sulla destra: era la piccola tartaruga che avevamo portato come mascotte. Fu un lampo: se è ancora viva l'ossido di carbonio non c'è più. Andammo avanti e misurai un'altra volta lo stato dell'aria: era purissima e noi eravamo salvi! Per la stessa via misteriosa da cui era entrato, il veleno era sparito".

Siamo entrati amici e siamo usciti fratelli, abbiamo visto il mondo più bello, abbiamo apprezzato la vita, il sole, i colori, tutto: se anche fosse stato solo questo il risultato della spedizione, valeva la pena farlo!